Dieci anni fa Massimo Bollani inaugurava, negli spazi di Palazzo Prinetti a Merate, una personale che segnava un significativo momento di passaggio nella sua produzione. La mostra si chiamava Stagioni e tracciava la storia degli ultimi anni di lavoro dell’artista, accompagnando i visitatori dalle sue opere fino ad allora più note – le tele figurative, caratterizzate da una pennellata espressiva e potente e da una tavolozza solare e vigorosa – alle più recenti, di matrice informale. Camminando nelle sale dell’esposizione si percepiva nitidamente il percorso condotto da un pittore che stava trovando un nuovo linguaggio, una diversa via espressiva, senza perdere di vista la propria identità. Permettetemi, per una volta, una notazione personale: ricordo perfettamente quella mostra del 2001; fui io a presentarla, accettando con entusiasmo di introdurre un pittore che già conoscevo da qualche tempo e che apprezzavo… Uno dei primi artisti – forse il primo in assoluto – con cui io abbia collaborato. Ed è con il medesimo piacere che mi accingo a presentare anche questa nuova edizione delle Stagioni di Bollani che, nelle stesse stanze di dieci anni fa, ci rende partecipi dell’ulteriore, sensibile evoluzione del proprio stile, del nuovo tratto di strada da lui compiuto. La personale di quest’anno ripercorre gli ultimi cinque anni di lavoro dell’artista, proponendo opere datate dal 2006 a oggi. C’è un profondo legame tra queste ultime opere e le tele protagoniste di quella famosa mostra del 2001… un fil-rouge sottile ma potente che da sempre accompagna la cifra espressiva di Massimo. Sebbene in una nuova veste e con modalità differenti, il senso più intimo della sua ricerca è rimasto immutato. Al colore steso a grumi pastosi, si è sostituita la materia: una resina che pare pietra, ruvida e severa eppure duttile e malleabile; alla tavolozza bruciata dal sole, una gamma cromatica più ombreggiata e raccolta. Pur uscendo dallo schema classico dell’opera da cavalletto, Bollani non ha rinunciato certo al gusto della pennellata libera, al gesto pittorico che caratterizzava la sua precedente produzione. La materia – l’oggetto tridimensionale – si fa supporto per il colore, diventando luogo di riflessione pittorica. Ne nascono opere in bilico tra realtà e astrazione, nelle quali oggetti trovati – o pescati in piccoli mercatini e dai robivecchi – trovano una nuova ragione di essere. Così un pezzo di ferro diventa una croce e una vecchia catena il simbolo di una possibile (o impossibile) unione amorosa. Sono presenze discrete, silenziose, eppure imponenti e maestose, che conservano in sé atavici segreti o, più semplicemente, il ricordo di una vita passata. Il loro racconto oggi è lì: sulle pareti di Palazzo Prinetti. Basta fermarsi e ascoltarlo. Dal 2006 a oggi Massimo Bollani è andato a fondo in questa sua nuova ricerca, ha sperimentato e ha ottenuto dei risultati e ora, lo percepiamo dalle ultime opere esposte, è di nuovo a un bivio: è di nuovo sul punto di chiudere un ciclo e cominciarne un altro, di cercare nuove modalità espressive, di rimettersi in discussione pur restando se stesso. Non posso che augurargli di trovare sempre nuova linfa creativa e di saper proseguire nel suo infaticabile cammino artistico, come ha fatto fino a oggi. Simona Bartolena