SEGNO e MATERIA Questa mostra rappresenta la tappa più recente nel “percorso” artistico del pittore Massimo Bollani. Un percorso che era partito dalla figurazione ed è approdato all’astrazione.Cioè iniziando dalle norme di quel codice visivo inteso a rappresentare la realtà oggettiva per poi giungere al suo attuale modo di esprimersi: soggettivo e volutamente oscuro. L’astrazione di Bollani è lirica poiché desidera evocare liberamente forme e colori, all’interno di una dimensione altra. Un tipo di astrazione informale, in cui prevalgono “gesto e materia”. Il gestum, cioè “atto, compimento”, quindi registrazione del movimento calligrafico compiuto dall’artista. Movimento rituale del suo stato d’animo. Controllato e automatico allo stesso tempo. Il gesto pittorico: dalla tradizione degli ideogrammi dell’estremo Oriente ai tocchi eversivi dei Macchiaioli e dalle virgolettate impudenti degli Impressionisti ai rapidi gesti Zen dell’Action Painting statunitense. La Materiam, cioè “sostanza essenziale di un corpo”. Grezza e raffinata al tempo stesso. Con tutta l’evidenza fisica di uno spessore rilevante che, a partire dal secondo Rinascimento, introduce sempre di più quella profondità espressiva tendente ad oltrepassare la superficie dell’immagine dipinta, fino a caricarla di nuovi significati. Pensiamo all’importanza della materia pittorica in Tiziano, Velazquez, Rembrandt, Goya, Delacroix, Van Gogh, Morandi e Morlotti. Ecco che in Bollani, gesto e materia si fondono insieme in una sorta di opera alchimistica. Nelle larghe pennellate spesse, nelle spatolate grumose capaci di evocare romantiche stratificazioni storiche e perfino nelle colature liquide lasciate scorrere nella palpitante urgenza del lavoro. Così, sulle tele di questo vero pittore si scompongono, si traducono, si trasferiscono, si proiettano e quindi si ricompongono in modo tortuoso tutte le pulsioni di uno dei misteri più grandi: quello della nostra esistenza. Massimo non ce lo comunica, lo esprime: tra vulcanici toni caldi e infuocati di gialli, terre, rossi e aranciati. Interrotti da melanconici toni cupi e da rare sciabolate di rinfrescanti oltremare o turchese. Colori caldi, tormentati, luminosi, ma anche oscuri. Segni misteriosi, carichi di forza e di sensibilità, sono quelli degli ultimi dipinti presentati da Bollani. Pittore con un glorioso passato di ritrattista e paesaggista. Proprio i paesaggi, col passare del tempo, sono stati dipinti da Bollani sempre più con la tavolozza psichedelica dei fauves, fino a diventare ormai il pretesto d’indagine sulle informi forme. Artista così moderno e antico, al tempo stesso. Moderno, poiché legato all’ Astrattismo tedesco dei primi decenni del novecento e all’Informale internazionale degli anni Cinquanta. Antico, poichè vicino alle pratiche divinatorie delle casualità, praticate normalmente dai popoli arcaici. Del resto Leonardo stesso, nel consigliare ai pittori un “modo d’aumentare e destare lo ‘ngienio a varie invenzioni” scriveva di prendere ispirazione dalle “muri macchie”e altre mutevoli forme casuali, in quanto fonti inesauribili di “infinite cose”. Forse il genio profetico leonardesco, comportandosi come un individuo etrusco, aveva già capito (con oltre quattro secoli di anticipo) le potenzialità dell’Informale? Tutto questo si ricollega a Massimo Bollani, al suo universo denso e misterioso, alla sua ipotesi pittorica. Un ipotesi in cui la serena visione del mondo si sgretola per lasciare spazio al cruento sfogo poetico, fatto di gesto e materia in perenne divenire. Gesto e materia carichi di una violenta passione che si purifica nell’artificio della pittura. Se devo indicare precisi riferimenti per Bollani, sarei tentato di nominare Franz Kline e Alberto Burri: figure emblematiche del panorama artistico nel secondo dopoguerra. Proprio quel periodo che vide rivelati, anche attraverso la presenza delle arti visive, tutti gli orrori dell’umanità coinvolta nel disastroso conflitto mondiale: l’Olocausto, la bomba atomica, etc. Perciò concludendo, e senza disgiungere l’estetica dall’etica, mi viene spontaneo pensare che l’attuale pittura di Massimo, proprio in quel suo innestarsi nella scelta storica dell’Informale, non deve farci dimenticare che tale drammatico linguaggio pittorico, oltre ad attingere dal mondo dei sogni e dalle regole del caso, coincise a suo tempo con una civile risposta all’assurdità della guerra.
Paolo Parente